Un anno di Costruire Con La Musica

Un anno di Costruire Con La Musica

Il progetto Costruire Con La Musica, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, ha concluso il 17 maggio il suo primo anno di attività con un bilancio che possiamo dire positivo. I primi sei mesi sono serviti per creare, insieme a tutti i partner (Ministero della Cultura e del Turismo del Mozambico, AGAPE, Comune di Milano, Milano Musica e Diapason Progetti Musicali), tutti i flussi di lavoro per i prossimi tre anni, e ora le attività stanno procedendo. Non sono mancati gli imprevisti, come il ciclone che a febbraio e marzo ha colpito le province di Inhambane e Zambézia, proprio due delle tre, insieme a Nampula, che saranno al centro del lavoro del progetto.

 

COSA È STATO FATTO QUEST’ANNO

 

  1. VISITE ALLE PROVINCE: la responsabile del progetto e il funzionario amministrativo, insieme ai rappresentanti di MICULTUR, hanno avuto l’opportunità di visitare più volte le province di Inhambane, Zambézia e Nampula negli ultimi mesi per organizzare le attività del Cluster 3 (OCCUPAZIONE E IMPRENDITORIALITÀ). Hanno avuto la possibilità di incontrare i Direttori Provinciali della Cultura e del Turismo e i Direttori delle Case Provinciali della Cultura, con i quali hanno stabilito una forte intesa e un grande piano di lavoro. Inoltre, i referenti del Comune di Milano hanno visitato le province nel luglio 2022 (Inhambane) e nel febbraio 2023 (Zambézia) e hanno potuto vedere le Case della Cultura e parlare con tutti i loro rappresentanti;
  2. CONSEGNA DEI MATERIALI DEL PROGETTO: nei mesi di aprile e maggio di quest’anno, la Ministra della Cultura e del Turismo, Eldevina Materula, ha consegnato alle Case Provinciali della Cultura alcune delle attrezzature previste dal progetto. Si tratta di stampanti, macchine fotografiche, videocamere, telefoni e proiettori, materiali importanti per la realizzazione di attività di formazione, comunicazione e supporto agli artisti e al settore culturale nei prossimi anni;
  3. REVISIONE DEL FUNDAC: ad aprile è stato organizzato un ritiro che ha coinvolto diversi attori del FONDO DI SVILUPPO ARTISTICO E CULTURALE e di altre istituzioni culturali pubbliche con l’obiettivo di analizzare il funzionamento attuale del FUNDAC e definire i termini di riferimento per la ristrutturazione, il rafforzamento e la diversificazione degli strumenti finanziari e degli incentivi a disposizione del settore. Durante i giorni del ritiro, è stato inoltre possibile ascoltare una serie di interventi sui sistemi di finanziamento pubblico della cultura in Italia e in Brasile, che hanno fornito un’importante riflessione per rivedere la meccanica in Mozambico;
  4. PIATTAFORMA INTEGRATA MULTIFUNZIONE INICC: Il progetto prevedeva inizialmente la creazione di una piattaforma integrata da assegnare all’Istituto Nazionale per le Industrie Culturali e Creative; dopo un’analisi della piattaforma sviluppata direttamente dall’INICC, si è deciso di intervenire su questa stessa piattaforma, integrandola con le funzioni previste dal progetto Costruire Con La Musica. Sono in corso di definizione i termini di riferimento per l’assunzione di consulenti che, attraverso un processo partecipativo, possano migliorare il funzionamento dell’attuale piattaforma dell’INICC in modo da renderla più rispondente alle esigenze degli utenti finali;
  5. CURRICULUM DEI CORSI DI LIVELLO MEDIO: dall’inizio dell’anno, gli esperti italiani e l’équipe della Scuola Nazionale di Musica stanno lavorando per trovare la strategia migliore per sviluppare curricula efficaci (Musicoterapia, Costruzione e manutenzione degli strumenti musicali tradizionali mozambicani, Manutenzione degli strumenti classici e Ingegneria del suono) adatti al contesto mozambicano.

 

PROSSIMI PASSI

 

  1. RAFFORZAMENTO ISTITUZIONALE: a luglio, dal 19 al 29, inizierà il primo ciclo di formazione per i funzionari del Ministero della Cultura e del Turismo e delle sue istituzioni dipendenti e per i rappresentanti delle province coinvolte nel progetto. I corsi di formazione, che coinvolgeranno docenti mozambicani e italiani in uno scambio continuo, riguarderanno la gestione delle industrie culturali e creative, la valorizzazione, la gestione e l’utilizzo del patrimonio pubblico, la comunicazione e il fundraising;
  2. FORMAZIONE PROFESSIONALE: nei prossimi mesi, Luka Mukhavele, Pedro Sitoe e il corpo docente della Scuola Nazionale di Musica saranno impegnati nello sviluppo del programma di studi per il corso di scuola secondaria sulla costruzione e manutenzione degli strumenti musicali tradizionali mozambicani. In questo contesto, dal 3 al 14 luglio, i professori Sitoe e Mukhavele hanno condotto un corso di formazione iniziale su questo tema, con l’obiettivo di formare i potenziali futuri insegnanti del corso. Alla formazione parteciperanno costruttori professionisti provenienti dalla città di Maputo, dalla provincia di Maputo, da Inhambane, Zambézia e Nampula;
  3. OCCUPAZIONE E IMPRENDITORIALITÀ: a luglio inizieranno i lavori di ristrutturazione e allestimento degli spazi delle Case della Cultura provinciali che ospiteranno gli incubatori di imprese culturali e creative e gli studi di registrazione.

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Una nuova famiglia per la piccola Dani

Una nuova famiglia per Dani

La disabilità è ancora un tabù molto forte in R.D. del Congo, ma grazie alla rete di AGAPE, Dani crescerà circondata da amore.

Dani Néhema Haniel è nata solo pochi giorni fa ma è stata abbandonata dai genitori perché durante il periodo di gestazione non le si sono formate del tutto le braccia. È stata lasciata a sè stessa perché, in R.D. del Congo, il pregiudizio nei confronti dei bambini disabili è ancora elevatissimo: si pensa che siano bambini stregoni, per cui, invece di dargli tutte le cure e l’amore di cui avrebbero bisogno, vengono lasciati a morire.

 

La Dottoressa Nanou, responsabile dell’ospedale Horizon Sud, in R.D. del Congo l’ha salvata: ha visitato accuratamente la bambina che, per fortuna, sta bene, e presenta tutti i riflessi che dovrebbe avere per la sua età, ha solo una disabilità fisica. Quando è stata accolta, la piccola Dani ancora non aveva ancora un nome, che le è stato dato proprio dalla Dottoressa, perché è una bambina come tutte le altre e anche lei meritava di essere riconosciuta da qualcuno.

 

All’interno dell’ospedale Horizon Sud, AGAPE porta avanti il progetto dell’ozonoterapia, per cui la Dottoressa Nanou conosce bene la nostra organizzazione e la sensibilità e l’impegno che mettiamo nella cura dei bambini affetti da disabilità. Per questo, appena ha trovato la bambina, la Dottoressa ha chiamato Josuè Mupemba, presidente di AGAPE R.D. Congo, il quale si è attivato immediatamente raccontando la sua storia a Paolo, il presidente di AGAPE. Insieme, hanno cercato la soluzione migliore per la bambina ed è stato contattato il Centro Medico Polivalente e Orfanotrofio San Marcello, fondato dalla Dottoressa Carla Mauro.

 

La piccola Dani ora è stata affidata a loro, si prenderanno cura di lei, sia dal punto di vista medico che affettivo, e potrà crescere in un ambiente protetto, in cui non sarà vista solo come la sua disabilità, ma come una bambina con una vita davanti e con un potenziale da coltivare ed esprimere.

 

Questo miracolo, trovare una casa per Dani in pochissimo tempo e garantirle cure e attenzioni, è stato possibile grazie alla rete che, giorno dopo giorno, AGAPE sta creando a Kinshasa, fatta di tanti partner che gestiscono piccole case d’accoglienza. La dimensione ridotta ci permette di seguire i bambini uno ad uno, stargli vicino nella crescita e negli eventuali problemi, ed essere sicuri che vivano in un ambiente che li ama e che li aiuta a far esprimere le proprie potenzialità, soprattutto quanto sono portatori di una qualche disabilità.

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Un Mulungo a Mafalala

Un Mulungo a Mafalala

Alessandro è un volontario di Servizio Civile in Mozambico che, nei 10 mesi di progetto, ha lavorato al fianco all’Associazione Machaka e ai suoi bambini e ragazzi.

Quindici minuti di cammino. Dieci minuti di attesa. Trenta minuti di autobus “Xipamanine-Malhazine”. Arrivo in una via lunga e stretta. Carretti traballanti carichi di cocchi trainati a mano sussultano sul ciottolato sconnesso, donne che vendono “Bajias” e “Rosquinhas” (ciambelle) appena fritte al lato della strada, ragazzi appoggiati a un muretto chiacchierano all’ombra di una tettoia in lamiera, le macchine rallentano prima di un dosso posto subito prima dell’uscita di un campetto da calcio.

 

“Mulungu mulungu!” una parola che continuo a sentire in sottofondo nelle prime settimane in cui mi reco a lavoro, non sempre mi sembra essere direttamente rivolta a me, è quasi un’ esclamazione. L’uomo bianco è arrivato a Mafalala, uno dei quartieri poveri della città di Maputo in cui non ci sono palazzi o edifici nuovi, tutto è costruito in modo che “stia in piedi”, in modo appena sufficiente a far sì che quella cosa, che sia una bancarella, un fornello per cucinare, funzioni. Non ci sono lampioni, non c’è asfalto, non ci sono cassette postali, non ci sono parcheggi per le auto, non ci sono alberi, non ci sono strisce pedonali, non ci sono edicole. In questa strada stretta, però, c’è un sarto che dalle 8 e mezza del mattino, tutti i giorni a parte la domenica, è seduto ad un tavolino con una macchina da cucire nera, al suo fianco ha una pila di vestiti alta all’incirca quanto la sua sedia. A pochi passi di distanza, sulla sinistra, c’è un piccolo patio ed una scritta su una delle pareti che lo circonda: Machaka.

 

Machaka nella lingua tradizionale parlata in Mozambico, lo changana, significa “famiglia”. Dopo qualche giorno dal mio arrivo ho scoperto che anche “Mulungu” è una parola in changana e che letteralmente significa “persona bianca”. Era quindi una vera e propria esclamazione, forse un saluto, oppure un vero e proprio gioco che mi ha ricordato, con un po’ di nostalgia, gli anni del caro e vecchio “Twingo gialla!”, un gioco a cui giocavamo sempre da bambini per ingannare il tempo durante le gita in pullman. Si basava unicamente sulla regola: se vedi una Twingo gialla devi dire “Twingo gialla!”, il primo che lo dice guadagna un punto. Chi fa più punti entro la fine della giornata vince”.

 

Che cos’è Machaka? È stata la prima domanda che ho rivolto a João quando l’ho conosciuto. Machaka è un’associazione culturale che ha come obiettivo la promozione della cultura nel quartiere di Mafalala, mi ha raccontato la sua storia, com’è nata l’associazione, quello che fanno, i loro obiettivi, i loro successi e le loro difficoltà. Ho fatto molte domande e ho ricevuto molte risposte. Dopo sette mesi passati qui, però, mi rendo conto che erano tutte risposte parziali, non perché ci fosse qualcosa che non andava in quello che mi è stato raccontato, ma perché le parole, almeno le mie, tolgono un po’ l’importanza a certe cose.

 

Come posso raccontare quello che ho vissuto e che sto vivendo qui senza tralasciare niente? Penso che in parte sia inevitabile, perché questa esperienza, per me, sarà stata più grande delle singole parti che l’hanno composta. Quando guardo João, Horácio e Omar, vedo dei ragazzi, giovani, allegri, con la voglia di fare del volontariato, di suonare e di ballare senza sosta. Alcune volte li vedo anche nelle loro “giornate no”, con il sonno negli occhi, la stanchezza del caldo africano, con la voglia di “descanso” (riposare) e di stare da soli con i propri pensieri. Ragazzi come me o come tanti altri che ho conosciuto in Italia. Se invece chiudo gli occhi e provo a pensarci vedo un’altra cosa, c’è in gioco molto di più: Machaka nasce in una piccola piazzetta, da una deviazione di una via stretta e lunga, che prosegue per centinaia di metri. Poco più avanti c’è una farmacia, ci sono due chioschi che preparano panini, uno che vende pneumatici, due bancarelle che vendono frutta e verdura, c’è un campo da calcio. Da questo punto in avanti la via cambia, Machaka sarà all’incirca distante 500 metri.

 

“Mulungo, ti chiedo 20 meticais.” “Mulungo, tutto bene?” “Mulungo, vuoi comprare qualcosa?”. I volti delle persone sono più scavati, gli occhi sono spenti, corpi di ragazzi giacciono a terra con la schiena appoggiata a una lamiera che fa da recinto alla casa di qualcuno, dormono e le persone gli passano intorno. Un ragazzo con la metà dei miei anni mi aiuta a raccogliere una bottiglia di vetro che vogliamo usare per realizzare un’opera d’arte insieme ai bambini del quartiere. Ha il corpo magro e lo sguardo di chi non dorme da un bel po’, mi domanda perché stessi raccogliendo le bottiglie e perché lo stessi facendo proprio in quella via. Gli spiego che sono un volontario, che stiamo realizzando una tartaruga fatta di bottiglie di vetro e lo invito a venirci a conoscere a Machaka.


Mi risponde che sarebbe venuto e, abbandonando il mio sguardo, si allontana. L’uso di droga, qualunque tipo di droga, è la piaga di questo quartiere. Entra nelle case e cattura figli, sorelle, amici privandoli di tutto quello che hanno. Li svuota. Questo è quello che ho visto in questa strada stretta e lunga: “Rua da Goa”, chiamata anche “Boca de Fumo”. É quello che ho letto in “Trainspotting” o sentito nei racconti dei miei genitori sulla piaga dell’eroina in Italia negli anni ’80, persone svuotate. “Qui, c’è in gioco molto di più”, mi ripeto nella testa. Non è “solo” musica, non è “solo” danza, non è “solo” teatro, non stiamo “solo” insegnando inglese o matematica, non è “solo” un dopo scuola per studiare di più e alzare il voto di un compito in classe.

 

Il futuro di Mafalala dipende dai bambini e i bambini dipendono dal futuro di questo quartiere. Ma non può esserci futuro senza la possibilità di scegliere. E quand’è che posso scegliere? Quando davanti a molteplici possibilità tutte ugualmente accessibili manifesto la mia individualità e con un gesto libero decido quale vita, tra quelle possibili, voglio vivere. Machaka fa proprio questo, rende liberi i bambini di poter scegliere, di potersi appassionare, di poter imparare, di poter sbagliare, di costruirsi un’alternativa: la loro.

Alessandro Aloi

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Un Viaggio Indimenticabile

Un viaggio indimenticabile

Paolo, un nuovo incredibile volontario di Agape, ha deciso partire per il Burkina Faso, per toccare con mano la comunità a cui, lui e gli altri sostenitori, hanno portato l’acqua.

Partire o non partire, questa è stata la domanda che per lungo tempo ha occupato i miei pensieri: la situazione politica incerta, la forte presenza di terroristi e un importante infiltrazione jihadista, sconsigliava il viaggio. Lunghe telefonate con Don Victor, il “pretino” come si definisce lui, del Burkina Faso che cercava di organizzare il mio viaggio, alla fine in accordo con mia moglie (l’ideatrice di questa follia)  decido, si parte il 19 marzo 2023.

 

Ma chi è Don Victor? “Il Pretino” conosciuto da mia moglie, Mamma Rita, come la chiamerà da quel momento nella nostra Parrocchia di Porto Torres, grazie al nostro Parroco Don Boniface, anche lui del Burkina Faso. Don Victor aveva un unico pensiero: aiutare il suo popolo, dando l’acqua a un villaggio di circa 2.300 persone.

 

Mia moglie mi ha detto “dobbiamo aiutare queste persone”. Queste parole mi hanno colpito, e, la notte stessa, inizio a documentarmi, leggere, cercare di conoscere questo paese, il Burkina Faso, e piano piano mi innamoro: mi sale la rabbia di come si possa ridurre un intero paese nella povertà più assoluta solo per l’interesse di pochi, cerchiamo di capire come aiutarli, ma da soli è impossibile. 

 

Ci aiutano degli amici, Maria e Antonio, e, soprattutto, la nostra vicina di casa ci fa il nome di Mario Verardi, ci racconta della sua vita e ci colpisce tanto da chiamarlo e partire per Roma a conoscerlo. Ci incontriamo e solo a vederlo alla stazione, (infatti, nonostante i suoi acciacchi, è venuto a prenderci) ci rendiamo conto di conoscere una persona immensa con un’esperienza infinita. Ci porta nella sua casa e qui conosciamo sua moglie, Anna Maria, altra donna immensa, ci parlano della loro vita e dell’associazione AGAPE, conosciamo Paolo, l’attuale Presidente, e incrociando gli sguardi con mia moglie, capiamo: abbiamo trovato chi può aiutarci.

 

Così inizia la nostra avventura in AGAPE. Lunghissime telefonate con Paolo, organizzare incontri a Porto Torres per sensibilizzare i nostri futuri benefattori, riusciamo a raccogliere i fondi necessari per iniziare la costruzione del pozzo, e, dopo due perforazioni negative, che hanno messo a dura prova la nostra voglia di continuare, al terzo tentativo… ecco l’acqua!

 

Al che, dentro di me, inizia a venir voglia di andare, conoscere e vedere con i miei occhi la realtà, conoscere le persone, capire come ancora possiamo aiutarli e, come detto inizialmente, cresce il “dilemma”: partire o non partire?

 

Ed eccomi qua, 20 marzo 2023 ore 16:00, Ouagadougou, e finalmente vedo lui, il “pretino” Don Victor che è venuto a prendermi, non ci eravamo mai visti di persona, solo una voce e una foto. Ma mi sembra avvolto da un’aura positiva, la prima impressione è quella che conta e mi sento veramente in mano a un mio fratello, mi sembra di averlo sempre conosciuto, il primo abbraccio, non impacciato ma quello di vecchi amici che dopo tanto tempo si ritrovano. Finiamo tutte le formalità e usciamo, ed ecco Ouagadougou: una citta di più di 3 milioni di abitanti, il caos più assoluto.

 

Victor mi fa visitare la città come una perfetta guida turistica, parla parla parla… peggio di mia moglie! Vuole mostrarmi tutte le bellezze della città, ma dal primo impatto non riesco a distogliermi… non vedo l’ora di arrivare al villaggio per allontanarmi da questo caos.

 

La mattina dopo incontro i miei angeli custodi, due altri amici mi seguiranno come delle ombre per tutto il viaggio, mi aspettano solo 347 km, ma saranno, se va bene, almeno 7 ore di macchina. E così arrivano le 17:00, da lontano si vedono delle persone radunate, ma all’ improvviso uno scoppio, la strada ci ha fatto l’ultimo regalo: il pneumatico si squarcia ma ormai sono vicino, la sostituiamo e ripartiamo. Arriviamo al punto di incontro, il sole sta tramontando e come scendo dalla macchina, si sente un canto salire lentamente, la pelle d’oca e una lacrima si affaccia nel mio viso.

 

Cerco Victor e la sua mano per un aiuto, lentamente mi avvicino al capo villaggio, sempre seguito da questo canto che diventa sempre più forte, vuole incontrarmi davanti al “miracolo”: il pozzo. Mi accolgono con tutti i loro rituali che nel passare del tempo mettono a dura prova il mio cuore, sto vivendo un momento importantissimo della mia vita e che non dimenticherò mai più, conosco altri burkinabè e, anche qui, conosco delle persone fantastiche.

 

Con Don Victor ci avviciniamo al pozzo e ci inginocchiamo per ringraziare nostro Signore per averci donato l’acqua. Finisce la festa, il mio cuore non riesce più a sopportare queste emozioni e arriviamo in parrocchia che sarà il mio resort per tutto il periodo, qui conosco altre persone: il vicario Don Theofano, il cuoco Bosco, i parrocchiani. Sono distrutto, l’emozione è tantissima, ma nonostante la stanchezza non riesco a dormire, il silenzio, le preoccupazioni iniziali, mi fanno stare sempre all’erta, ma sono sereno, i miei angeli sono vicini a me.

 

Arriva l’alba e esco dalla stanza, siamo già a 38 gradi di temperatura e sono solo le 6. In lontananza vedo dei bambini che stanno pompando acqua. Mi avvicino a loro e quasi quasi si spaventano nel vedere un bianco, li aiuto a prendere l’acqua e in men che non si dica, mi vedo circondato da bimbi, la parte più bella dell’ Africa! Arrivano le donne, bellissime, con un portamento regale, abituate a portare in equilibrio sulla testa tutto ciò che è trasportabile, il vero motore del villaggio.

 

Don Victor mi fa sempre da guida mi fa conoscere tutte le realtà e tutti hanno sempre una sola domanda: come può, un bianco, avere avuto il coraggio di andare in quei posti? Andare da loro abbandonati da tutto e da tutti. E sempre, sempre, scopro persone semplici, fiere orgogliose della propria terra, ingegnose su quanto hanno, capaci dal nulla ottenere tanto.

Paolo Parodi

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