Sono arrivata in Mozambico con le valige cariche di aspettative e di paure. L’attesa è stata resa ancora più estenuante dal momento storico unico che stiamo vivendo: questa lunghissima pandemia che ancora ci colpisce ha lasciato noi volontari per un anno intero in bilico tra la certezza dell’impossibilità di vivere questa esperienza e una debole speranza che la situazione si sbloccasse. Il 14 dicembre, quando finalmente sono atterrata nella capitale Maputo, ero tanto stanca quanto incredula e ho impiegato circa una settimana per realizzare che sì, ce l’avevo fatta davvero!
Mi sono iniziata ad ambientare molto prima di quanto avrei mai immaginato, soprattutto grazie al fatto che abito nella casa di una famiglia locale, quindi ho iniziato da subito a conoscere davvero tutto ciò che implica la vita in un paese straniero così diverso dal nostro, a partire dalla lingua fino all’educazione dei figli, i modi di dire che usano, le usanze per celebrare le feste religiose o quelle nazionali (bellissima ad esempio la tradizione con cui le amiche indossano lo stesso tessuto nel giorno della donna mozambicana) o per occuparsi delle faccende domestiche… Sono stata fin da subito accolta e trattata come se davvero avessi SEMPRE fatto parte di quella famiglia e di questo paese!
Qualche settimana dopo ho iniziato le prime attività con le varie associazioni con le quali AGAPE e PASSI, suo partner, collaborano a livello locale, cominciando innanzitutto a lavorare nella gestione e risoluzione dei casi di violenza psicologica, economica o fisica, rivolti soprattutto a donne, che vengono di volta in volta segnalati dai responsabili nei vari bairros (quartieri) più periferici e problematici della città. Un lavoro tanto difficile quanto importante per la comunità, che insegna anche a fare i conti a volte con alcuni aspetti negativi come la poca efficienza delle istituzioni o la cultura machista diffusa in molte zone, ma allo stesso tempo con molti dei miei limiti personali.
Con un’altra organizzazione, l’associazione Machaka, che solo da qualche settimana ha ripreso a lavorare a pieno ritmo a causa delle restrizioni mozambicane anti-covid, sto svolgendo delle attività di doposcuola, lavora nel bairro più difficile di tutta la città, e cerca di migliorare la condizione educativa dei bambini e ragazzi attraverso, tra gli altri, corsi di lingue straniere e arteterapia. Infine, ho iniziato da poco ad assistere settimanalmente alle visite ai pazienti nel Centro di Riabilitazione Psicosociale di Mahotas.
Sto avendo così l’occasione di conoscere molti e diversi lati di questo paese e soprattutto del suo popolo, così vivace e accogliente, capace di accettare con un sorriso o di affrontare con soluzioni alternative cose che spesso noi europei non vorremmo nemmeno vedere (e qui mi sento di dire di non parlare per stereotipi ma di quello che realmente ho osservato finora).
Da persona che non ha mai vissuto fuori dalla terra natia, sono sempre più convinta che l’atteggiamento giusto da adottare in questo caso sia l’apertura: qui ho fatto cose che non mi sarei mai aspettata di riuscire a fare, ho trovato cose che non avrei mai immaginato ci fossero e non ho visto cose che ero sicura che avrei visto ad ogni angolo di strada! Sono a poco più di metà del mio percorso perciò ci sono ancora tante cose che potrò scoprire e provare qui nei prossimi 4 mesi, ma di sicuro non posso fare altro che consigliare un’esperienza come questa a chiunque abbia voglia di mettersi in gioco e cambiare prospettiva, per tornare a casa davvero con occhi nuovi!